Ecco l'opinione del Vice
Presidente Vicario dell'API (Associazione Piccole
Imprese) di Torino in una lettera aperta nostro
giornale :
In Italia la recessione era
matura già dal quarto trimestre del 2007, subito
dopo la crisi di agosto del sistema bancario
mondiale e le conseguenti ripercussioni sui mercati
borsistici. Per la prima volta i segnali sono stati
inequivocabili: le banche non solo non si fidavano
dei loro clienti, ma non si fidavano più nemmeno
l’una dell’altra e il tasso di prestito del denaro (euribor
a 1 mese) salì nel novembre dello 0.70 in un solo
giorno. Peccato che gli economisti non si siano
accorti di nulla e che l’intero comparto finanziario
abbia sottovalutato questo segnale: le
responsabilità di questa manchevolezza non possono
essere dimenticate dai noi piccoli e medi
imprenditori, cioè da chi ha sentito più di tutti
l’immediato aumento del costo del denaro. La
conseguenza di tutto ciò, è stata il repentino
congelamento della macchina produttiva, anche se la
vera recessione arrivò l’anno successivo mettendo a
nudo problemi strutturali e ritardi innovativi
atavici propri dell’Italia, che la crisi però non ha
creato ma ha solo evidenziato. A distanza di ormai
tre anni possiamo fare un consuntivo provvisorio di
questa esperienza, cercando di capire cause,
situazioni e prospettive per le PMI. La recessione
pare terminata e i mercati finanziari si sono
stabilizzati, il collasso economico è stato evitato;
l’ingente iniezione di risorse finanziarie nel
sistema ha trasferito il rischio dagli istituti di
credito alle banche centrali, che ci auguriamo
possano nel tempo gestire il contraccolpo e non
scaricarlo sui risparmiatori. L’impiego di strumenti
straordinari, come quello degli ammortizzatori
sociali, ha dato temporaneo ossigeno alle imprese.
Permane però una forte incertezza, che ci obbliga ad
essere ancora timorosi ed attendisti: lo stimolo
alla crescita non ha dato tutti i risultati
inizialmente sperati ed i Governi non sono stati in
grado di attivare consistenti politiche di spesa
pubblica per gli investimenti e per il sostegno ai
consumi, mentre i pochi incentivi sono stati pensati
“sartorialmente” soltanto per alcune grandi imprese,
lasciando le piccole completamente sole. Il grande
problema sta nei tempi della ripresa: una
“convalescenza” troppo ritardata potrebbe essere più
fatale della malattia che l’ha originata. Rischia di
restare una cicatrice permanente nelle nostre
imprese, già affette da un handicap cronico dato
dalla loro troppo piccola dimensione. A questo punto
cosa fare? La politica deve prontamente rispondere e
investire nella ricostruzione di un vantaggio
competitivo italiano. Le PMI devono cogliere
l’occasione e, come dice il Mario Deaglio, “andare a
scuola dalla crisi”, ed interpretare la stessa come
un’occasione di apprendimento: innovando,
aggregandosi ed internazionalizzandosi.
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